Nel universo di Armando Babani

Nel universo di Armando Babani

Intervista con il fotografo ARMANDO BABANI 

Un bambino “imprigionato” da un’alluvione, con lo sguardo terrorizatto, dietro le sbarre di una finestra; il leader dell’opposizione incappucciato come un adolescente ribelle davanti ad un piatto pieno zeppo di pasta al pomodoro; Schumacher stremato dalla stanchezza alla fine di una corsa; il monumento dell’ex dittatore che cade violentemente  tra la folla, migliaia di corde appese al bordo di una nave dove salgono persone disperate che lasciano il proprio paese … Ha anche questo volto la fotografia di Armando Babani, o meglio dire, ha milioni di volti, volti che compongono la nostra storia, quella degli ultimi tre decenni.

Tutti noi siamo cresciuti con le sue immagini, a tutti noi lui ha raccontato la sua verità che nel corso degli anni, ciclicamente, è sempre coincisa con la verità della Storia. Poliedrico, fotoreporter EPA, pubblicato ovunque, Armando continua oggi un lavoro iniziato oltre 30 anni fa: “Fotografare il mondo come lo vedo, senza costruire le storie”.

Tutti noi siamo cresciuti con le sue immagini, a tutti noi lui ha raccontato la sua verità che nel corso degli anni, ciclicamente, è sempre coincisa con la verità della Storia. Poliedrico, fotoreporter EPA, pubblicato ovunque, Armando continua oggi un lavoro iniziato oltre 30 anni fa: “Fotografare il mondo come lo vedo, senza costruire le storie”.

Gli chiedo del ruolo che i fotografi hanno nella società e mi risponde con la sua espressione preferita, presa in prestito da un collega: “Siamo l’occhio di Dio e non la sua mano!“.

Voglio scoprire com’ è diventato un fotografo. Mi racconta fin dall’infanzia: “Avevo solo 8 anni quando mio padre, che all’epoca lavorava al Palazzo dei Pionieri, mi portava sempre con sé. Il maestro della fotografia, Agim Verzivolli, mi teneva vicino e mi dava ordini ad aiutarlo, per esempio a prendere quel “liquido”, quella soluzione, etc. Il digitale non era ancora inventato, lui mi dieva; inserisci quella carta (fotografica) in quella bacinella, prendi questa fotocamera e portala a questo fotografo, cose cosi. Posso solo dire che era l’inizio di quello che sarebbe diventato la mia professione ma anche il mio più grande hobby”.

Poi la conversazione continua e insisto a chiederli di mostrarmi un momento molto difficile. Cosi mi racconta: “Una volta, era il 1993, mi trovavo nella cità di Pogradec insieme ad un giornalista scozzese. Cosi, andiamo a testimoniare le persone che saccheggiano i magazzini della città; arriviamo al momento in cui il deposito di liquori si è appena svuotato e potete immaginare quanto fossero tutti ubriachi. Uno di loro si avvicina a me e mi mette una pistola sulla testa dicendo: “Spia, sei una spia”. e lo riempie con il proietile in canna. Fortunatamente il giornalista che stava con me dice qualcosa in inglese e cosi la folla dice: “Lasciali andare, lasciali andare fuori. Sono solo stranieri!” Cosi quel ragazzo alza la pistola e spara in aria! Penso che sia facile capire il mio stato d’animo dopo quel momento. Il giornalista che era con me non, col suo senso di umorismo tipico brittanico mi dice: – “Il raki è buono qui, con tutto quello che aveva bevuto poteva anche sbagliare ordine, ti avrebbe prima colpito in testa e quindi dopo alzava la mano. ‘”

Glielo chiedo e insisto, voglio sapere l’importanza dell’ambiente nelle sue foto. E lui mi risponde: “L’Albania è un paese profondo e pieno di contrasti, come tale richiede molto impegno da parte di un fotografo, ma allo stesso modo offre molti aspetti che ti risolvono il lavoro”. Quindi mi racconta di un caso interessante, le prime impressioni del suo editore su una sua serie di fotografie. “Ha guardato attentamente le foto e alla fine mi ha detto: lavori in un paese d’oro, non solo dal punto di vista fotografico, ma ha la sfortuna di essere governato dal rame!”

Uso sempre un espressione per fotoreporter come Armando Babani, chiamo i fotografi veri e gli chiedo apertamente, secondo lui, il motivo per cui ci sono così pochi vi eri fotografi in Albania oggi. Mi risponde senza mezzi termini con il suo accento di Tirana: “Perché oggi tutti tagliano corto e poche persone prendono sul serio il loro lavoro. Questa è una professione e come tutte le altre richiede dedizione, rispetto per il prossimo ed etica professionale; richiede anche di fare sempre i conti con se stesso. “

Mi è sembrato inutile continuare perché un universo profondo come Armando Babani non può essere scoperto a parole. Per questo motivo, invito tutti voi a scoprirlo attraverso i suoi racconti quotidiani, le sue fotografie.

 

Testo e intervista: Julinda Mbrica

Pubblicato sulla rivista online Fotopasion.

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